Il Santuario |
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Il Santuario della Beata Vergine "Noli me tollere" fu edificato sul luogo ove, secondo la tradizione, venne ritrovato il simulacro. Esso prese il posto della piccola chiesa del XIII secolo e la sua costruzione durò per molti anni.
Si tratta di una chiesa seicentesca, tipicamente cappuccina. Nel tempo ha subito notevoli modifiche rispetto all'impianto originario; a navata unica voltata a botte, ed ha per ciascun lato tre cappelle intercomunicanti.
L'altare maggiore è in marmo, legno e stucco policromo, con al centro la nicchia contenente il simulacro della Vergine col Bambino.
Ai lati dell'altare due aperture conducono al coro retrostante, a pianta rettangolare, con pavimento e sedili in legno di mogano; grandi quadri di epoca sei-settecentesca a soggetto religioso, alcuni dei quali di un certo pregio, ornano le pareti. La volta della navata è divisa in tre campi da grandi archi a tutto sesto. Nel 1936, venne affrescata con episodi riguardanti la Vergine "Noli me tollere".
Nel campo vicino all'altare maggiore venne raffigurata l'apparizione al muto, in quello vicino all'ingresso il Santuario costruito subito dopo l'apparizione e due Padri Cappuccini, infine, in quello centrale venne raffigurato il ritrovamento del simulacro sull'olivastro.
Nell'arco trionfale campeggia la scritta a caratteri cubitali NOLI ME TOLLERE. Sulla parete destra, rispetto all'ingresso, è murata una pietra, ormai consumata dalle mani dei fedeli che nei secoli l'hanno toccata e baciata con devozione; è la terza parte della lastra di marmo che portava scolpite le parole "Noli me tollere". Di pregio sono gli altari lignei di tre delle sei cappelle laterali, opera di un "lego carpintero" (laico cappuccino falegname).
All'esterno il Santuario presenta una facciata a capanna con rivestimento marmoreo dicromo a bande orizzontali bianche e nere. Il portale ha ai lati due lesene scanalate con esili capitelli, l'architrave è sormontato da un arco a sesto acuto diviso in due archi ulteriori, sempre a sesto acuto, da due diaframmi scanalati.
Il 20 Dicembre 1997, un nuovo portone in bronzo ha sostituito il vecchio in legno. è costituito da due battenti istoriati con bassorilievi, sormontati da una lunetta leggermente ogivale, anch'essa istoriata.
LE PATRONESSE
Il Comitato delle Patronesse del Santuario venne istituito nel 1964 su iniziativa di Padre Massimo da Pabillonis, Superiore del convento. Di esso possono far parte tutte le donne che lo desiderano, senza alcun limite. Presidente del comitato è il Superiore del convento. Le patronesse dette "zelatrici", curano il decoro del Santuario. |
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Sorso |
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Sorso è un grosso paese agricolo della provincia di Sassari (14.000 abitanti circa) distante dal capoluogo 10 km; è situato all'interno di una folta cerchia di vigneti e uliveti, nella storica regione denominata Romangia, della quale è capoluogo.
Dista dal mare 3 km e il tratto costiero è sabbioso e ricco di dune, con una folta vegetazione di pini, ginepri e palme nane; inoltre, vi si trova lo stagno di Platamona, ricco di rare specie ornitologiche. In epoca preistorica e nuragica il suo territorio fu certamente abitato: lo attestano numerosi siti archeologici di notevole interesse, comprendenti anche le rovine di alcuni nuraghi. All'epoca romana risale la villa di "Santa Filidiga", in prossimità del mare, che fu abitata anche in epoca vandalica e bizantina.
Durante il periodo giudicale (X-XIII secolo) Sorso fu il capoluogo della "curatoria" (un distretto amministrativo) di Romangia, nel Giudicato di Torres, quindi fu legato al Comune di Sassari. In seguito, dopo la conquista aragonese (1323), divenne il capoluogo della "Encontrada de Romangia" e fu infeudato a diversi nobili giunti dall'Aragona. Il 19 Ottobre 1436 fu, infine, infeudato a Gonario Gambella, nobile sassarese.
Il 27 Giugno 1444 l'Encontrada divenne Baronia ed i Gambella ebbero il titolo corrispondente. Dal 1483, alla morte di Rosa Gambella, fino al 1596 il feudo fu oggetto di una lite giudiziaria, quindi fu assegnato agli eredi della sorella di Rosa, Maddalena. Nel 1527 Sorso fu assalito da truppe francesi e saccheggiato.
Nel 1646 il feudo passò alla famiglia catalana degli Amat, grazie al matrimonio fra Giovanni Battista Amat e Maddalena Deliperi Gambella. Nel 1652 Sorso, e così tutta l'Isola, fu colpito dalla peste nera che ne dimezzò la popolazione. Nel 1720, il passaggio della Sardegna ai Savoia, vide Sorso impegnato in una lotta giudiziaria con i feudatari Amat, iniziata all'arrivo di quest'ultimi e cessata solo con la fine del regime feudale, nel 1839.
A partire dal 1793 Sorso fu protagonista nella lotta antifeudale e i sorsensi furono attivi sostenitori del capo degli insorti, Giovanni Maria Angioy. Per questo dovette subire la reazione sabauda e baronale, quando i moti fallirono.
Cessato il feudalesimo, Sorso divenne uno dei centri economicamente più importanti del Nord Sardegna, con un'agricoltura basata su colture pregiate come la vite e l'olivo. Nel 1846 Sorso diede i natali ad uno scrittore di notevole valore: Salvatore Farina, che operò a Milano e fu fra i fondatori del "Corriere della Sera".
Nel XX secolo operarono invece il pittore Pietro Antonio Manca, uno fra i più rappresentativi che la Sardegna possa annoverare, e l'antropologo Fabio Frassetto, che ha legato il proprio nome allo studio delle ossa di Dante Alighieri e S. Domenico Guzman.
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